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29ª domenica dopo Pentecoste | Gratitudine - il mistero della guarigione spirituale

Dei 10 lebbrosi

Vangelo secondo Luca 17, 12-19

Il Vangelo di oggi descrive come dieci lebbrosi furono guariti dalla lebbra del corpo, ma non da quella dell'anima, che è l'ingratitudine o la dimenticanza dei propri benefattori, a meno di uno di loro, un samaritano, che fu grato e riconoscente verso il Salvatore Cristo per la guarigione ricevuta.

In altre parole, solo uno dei dieci lebbrosi guariti dalla lebbra del corpo aveva anche un'anima sana, cioè sensibile e capace di mostrare gratitudine, o di ringraziare con gioia, avendo un cuore senza malizia.

La pericope sulla guarigione dei dieci lebbrosi è un racconto ricco di significati spirituali, che getta luce sulla misericordia di Dio, sulla risposta dell'uomo alla grazia e alla guarigione e, soprattutto, sul mistero della gratitudine.

La gratitudine del samaritano è lodata oggi da Cristo. Il mistero di questa risposta mostra che la guarigione corporea di per sé non è sufficiente. Solo la gratitudine, come espressione di vera fede, apre la strada alla piena salvezza – che è la restaurazione dell'anima nella comunione con Dio.

 „Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce” (Lc.17, 15)

Questo miracolo, raccontato solo dall'evangelista Luca, nasconde nel suo cuore il mistero del ringraziamento e della gratitudine, che ci dona non solo la tanto attesa guarigione del corpo, ma anche e soprattutto la guarigione dell'anima - la salvezza!

Sant'Atanasio il Grande, vescovo di Alessandria, ha colto molto bene questo dettaglio, che fa la grande differenza tra l'esteriorità, che è fugace, e l'interiorità, che ci avvicina al Signore: “ricordate che il Signore amava i riconoscenti e si adirava con gli ingrati, perché non rendevano grazie al loro Salvatore. Pensavano più alla loro guarigione dalla lebbra che a Colui che li aveva guariti. Anzi, a uno fu dato più degli altri, perché oltre alla guarigione il Signore gli disse: "Alzati e va' in pace. La tua fede ti ha salvato”. Vedete, coloro che ringraziano e coloro che lodano hanno lo stesso tipo di sentimenti, lodano colui che li aiuta per i doni che hanno ricevuto. Per questo Paolo ha esortato tutti a glorificare il Signore nel loro corpo (1 Cor 6, 20)”.

„Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare.” (Luca 17, 10)

L'inizio del capitolo, da cui è tratta la pericope evangelica che oggi troviamo sul nostro cammino, parla della gratitudine e dell'atteggiamento che dovremmo avere nei confronti del Signore - l'umiltà riconoscente che incontreremo anche nella guarigione che seguirà.

L'intero Vangelo di Luca è unico nel suo genere in quanto al centro, dal capitolo IX al capitolo XVIII, contiene una lunga descrizione, che non si trova in nessun altro Vangelo, del viaggio del Signore verso la sua sofferenza volontaria - la crocifissione (senza abbracciare questa sofferenza non ci può essere risurrezione). Questo viaggio mistico è costellato da diversi miracoli compiuti da Cristo, oltre che da diverse parabole a loro modo uniche.

In questo contesto, poco prima di passare accanto ai dieci lebbrosi, il Salvatore parla del rapporto tra padrone e servo, tra l'uomo (eternamente debitore) e Dio (che sempre perdona) - “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare»” (Lc 17,13).

L'umiltà nasconde la via per una relazione sana e sempre più ricca tra l'uomo e Dio. È l'anima umile che acquisisce la vera salute, radicata nel profondo dell'anima, e il sospirato dono della salvezza, dato da Cristo. L'umiltà libera l'uomo da complessi e pregiudizi, facendolo entrare in un rapporto naturale con Colui che gli sta aprendo la strada della vita eterna.

Il samaritano riconoscente

Al lebbroso samaritano non fu permesso di andare a mostrarsi a un sacerdote ebreo, né sarebbe stato accolto. I Samaritani erano, per gli Ebrei, scismatici, separati dalla fede che li aveva tenuti in vita nel doloroso esilio babilonese, così lungo e opprimente. I Samaritani rimasti nella terra promessa, quelli che prima della nascita del Salvatore avevano costruito un altro tempio sul monte Garizim, poi demolito dai Giudei, erano trattati con particolare disprezzo, pur essendo anch'essi della stessa nazione e tribù.

Il dolore dell'esilio e della sofferenza, che secoli prima separava persone dello stesso sangue, oggi li unisce attraverso la croce della malattia. Il samaritano colpito dalla malattia trova il suo posto tra i lebbrosi ebrei: capiamo che la malattia e la sofferenza uniscono le persone, ebrei e samaritani - le sfumature delle dispute secolari scompaiono di fronte alla prova. La lebbra che non perdona diventa causa di salvezza e di pazienza.

Il mistero del ringraziamento - causa di salvezza

Il Signore manda i lebbrosi che chiedevano misericordia, secondo la prescrizione ebraica che troviamo nei capitoli 13 e 14 del Libro del Levitico, a mostrarsi ai sacerdoti, come se fossero già stati guariti (la Legge lo richiedeva), ed essi mostrano tutti una fede salda - una cosa sorprendente.

Quando i lebbrosi vengono guariti lungo la strada, forse sorge il grande dilemma: i Giudei che sono stati purificati saranno stati preoccupati dal dono che doveva essere portato al tempio, secondo le ordinanze richieste; il Samaritano invece è escluso (un paradosso - se la malattia li univa, la guarigione li separava), non potendo andare al tempio, deve scegliere se andare dalla sua famiglia, dai suoi cari, o tornare da Cristo.

“Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna.” (Mt 19, 29) - dice Cristo ai discepoli che lo hanno seguito, per incoraggiarli nella misteriosa missione che hanno abbracciato. Il rinnegamento di sé e di tutto ciò che amiamo su questa terra diventa una condizione sine qua non per seguire Cristo.

Oggi il mistero del ringraziamento diventa causa di salvezza per il samaritano, che lascerà “case, o fratelli, o sorelle, o padre o madre per il nome del Signore” (Mt 19, 29). È qui che troviamo il vero significato di questo passo scritturale, così difficile da comprendere per l'uomo che è sempre alla ricerca della verità, nella via dell'“amore che non viene mai meno” (I Cor 13,8). Il samaritano si rivolge a Colui che lo ama veramente, profondamente, completamente e riceve più della salute corporea, riceve la salvezza.

„Gesù Maestro, abbi misericordia di noi!” (Lc. 17, 13)

I lebbrosi chiedevano a Cristo misericordia, cioè un aiuto materiale visibile, qualcosa con cui potersi sostenere in quell'isolamento scoraggiante e opprimente. I malati erano condannati a vivere fuori dalle città e dai villaggi, lontani dalla gente, e ogni volta che vedevano qualcuno in lontananza dovevano segnalare la loro presenza con quel grido di paura: lebbroso, lebbroso, lebbroso!

Il Signore opera prepotentemente, e questa volta chiede loro di mostrarsi ai sacerdoti (era stata promessa la guarigione, una vera sfida!), conservando saggiamente il dono più grande - la salvezza dell'anima - per colui che si sarà mostrato riconoscente fino in fondo.

Ai lebbrosi ebrei, invece, sfuggiva il mistero della gratitudine: la coscienza continua di essere nel diritto, che derivava dalla loro familiarità con Dio (che consideravano come Padre) impediva loro di ringraziare veramente. Qui comprendiamo la sfumatura tra Dio, che ci deve - deve guarire (e non siamo forse anche noi ingrati, dal momento che poniamo il Signore sempre nel dovere?) - e Dio dona la guarigione, dono (sempre gratuito, come l'amore puro, incorrotto, eterno) che fa scaturire la gratitudine.

Di fronte a ciò che non ci aspettiamo, non possiamo che essere travolti dalla gratitudine. Il cuore diventa veramente umile e capace di accogliere la grazia, il muro di ferro - del nostro egoismo - viene finalmente abbattuto.

La gratitudine – resurrezione spirituale

Il Salvatore rimane sconcertato dal fatto che i nove non tornano a rendergli grazie - un abbandono da parte del popolo amato (l'uomo manca l'incontro con Dio, preferendo il dono ricevuto, come dovuto, alla Persona - Cristo, che apre il mistero), - solo uno torna, non l'israelita, ma lo scismatico, il samaritano, che aveva tutte le ragioni per stare lontano dai Giudei.

A lui il Signore dirà - perché torna, perché lo ringrazia, perché cade ai suoi piedi ed esprime la sua gratitudine per la guarigione ricevuta - le parole che concludono il Vangelo di oggi: “Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato ” (Lc 17,19) (da cui l'inatteso risorgere - Anastasis - la Risurrezione che completa tutto). La malattia, che lo stava portando a morte certa, oggi, scambiata in ringraziamento, porta il samaritano alla risurrezione prima della risurrezione.

La fede del guarito diventa causa di salvezza. Ai nove israeliti, che non tornano a ringraziare, Cristo lascia solo una guarigione corporea, fugace ed effimera (la malattia non sarebbe potuta tornare, o sarà tornata per alcuni di loro?).

Chi torna e lo ringrazia ottiene, oltre alla guarigione corporea dalla lebbra del corpo, anche la salvezza: ottiene la risurrezione dell'anima, ottiene il Regno dei Cieli. Il samaritano riceve questo grande dono perché arriva a riconoscere Cristo come datore di vita - Re sulla malattia e sulla morte - in lui non può esserci altro che vita. La gratitudine è il rimedio con cui assaporiamo l'eternità.

La Riconoscenza - il mistero del Regno

I lebbrosi compirono quattro cose degne di nota, che avrebbero potuto aprire la strada a un miracolo ancora più grande: gridarono a Dio per ottenere misericordia (I), ebbero fede ferma (II), obbedirono alla parola di Cristo (III) e andarono al tempio (la chiesa vivente) per mostrarsi ai sacerdoti (IV).

Una quinta cosa, la più importante di tutte, doveva ancora essere compiuta, affinché tutti potessero sperimentare (anche) una resurrezione dell'anima, e non solo una fugace guarigione corporea: la riconoscenza. Ai nove sfuggì che erano stati guariti solo dalla lebbra del corpo, rimanendo con la lebbra dell'anima, che ammorba sempre più intensamente rispetto alla lebbra esteriore, ormai scomparsa.

Prospettive teologiche

  1. La grazia di Dio è offerta in dono a tutti, indipendentemente dalla provenienza e dalla condizione sociale. Il fatto che il Samaritano - uno straniero perseguitato - sia colui che ringrazia, sottolinea che Dio non fa discriminazioni tra le anime assetate di guarigione;
  2. la gratitudine è il fondamento di una relazione autentica e pura con Dio. I nove che non si rivolgono a Cristo simboleggiano il rischio di ricevere i doni di Dio senza coltivare la comunione con il vero guaritore delle nostre anime e dei nostri corpi;
  3. la fede e l'obbedienza portano sempre alla guarigione e alla salvezza. L'obbedienza dei lebbrosi al comandamento del Signore è una tappa fondamentale della fede che si manifesta nei fatti;
  4. la preghiera umile porta la tanto attesa risposta divina. Il grido dei lebbrosi - breve ma sincero - è un esempio di preghiera tanto semplice quanto potente.

Il ringraziamento e il rivolgersi a Dio sono il rimedio eterno per la lebbra.

La persona riconoscente, che ringrazia sempre il Signore (anche per ciò che non ha, ma soprattutto per le prove e le malattie - pedagogia divina!) apre il mistero del Regno. La gratitudine guarisce il passato e dà senso al futuro, trasforma la povertà in benessere, la malattia in salute, la tristezza in gioia, i problemi in pace, le tenebre in luce - e la luce ci fa conoscere il Signore e gustare la Vita!

Ringraziare è essere vivi, è vivere!

Abbiamo sempre il coraggio di essere grati!

† Atanasie di Bogdania

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